Se sei un investitore o una azienda interessata a capire come vengono tassati gli NFT in Italia sei finito nel posto giusto! In questo articolo proveremo a dare una risposta a quella che è diventata una domanda sempre più ricorrente dopo l’esplosione del fenomeno NFTs.
Probabilmente anche tu sei riuscito ad ottenere dei bei guadagni tramite la vendita di NFT e vuoi capire se devi pagarci le tasse. Oppure, vorresti avviare la tua attività di compravendita di NFT a fini speculativi e vuoi approfondirne gli aspetti fiscali.
Ebbene stiamo per scoprire come muoverci in questo nuovissimo mondo! Ti anticipo che attualmente è complicato destreggiarsi correttamente in ambito fiscale quando si parla di NFT, ma ci sono una serie di linee-guida che possiamo seguire.
Indice dei Contenuti
Premessa: Gli NFTs NON vengono tassati come le criptovalute
La prima osservazione che possiamo fare è che gli NFT e le criptovalute non fanno parte dello stesso mondo. Proprio per questo motivo gli NFT non possiedono lo stesso inquadramento fiscale delle cripto. Il motivo è che la caratteristica primaria delle valute è quello di essere fungibili, cioè interscambiabili senza perdere valore o informazione.
Cosa significa? Semplicemente che un foglio di carta da 50 euro è identico ad un altro foglio da 50 euro. Lo stesso discorso vale per le cripto, come Bitcoin e le altcoins. Se possediamo 1 BTC è indifferente che sia stato minato ieri o 10 anni fa. Il suo valore dipende solo dal fatto che ne possediamo una (o più) unità.
Un NFT, invece, per definizione è un Token Non-Fungibile, non modificabile e non replicabile. E’ un oggetto unico. Per questo motivo, un NFT è da un punto di vista fiscale assimilabile più ad una opera d’arte o un oggetto da collezione, che non ad una criptovaluta.
Quindi, quando parliamo di criptovalute e valute estere ci muoviamo nell’ambito degli investimenti finanziari, che è un mondo ben definito, in cui possiamo stabilire bene gli obblighi di monitoraggio e la disciplina sulle imposte. Per approfondire, ti consiglio questo mio articolo sul monitoraggio e questo sulla tassazione.
Al contrario, da un punto di vista fiscale, il mondo delle opere d’arte è un po’ più delicato. Ce ne accorgiamo già quando parliamo di opere d’arte fisiche. La faccenda si complica ulteriormente quando le opere d’arte diventano virtuali, cioè quando parliamo di NFT.
In questo mondo, prima di capire se e quando dobbiamo pagare delle imposte, vanno valutati alcuni fattori. Paradossalmente, se la stessa opera d’arte/NFT fosse venduta da due persone diverse potrebbe generare due posizioni fiscali diverse. Magari un venditore non deve pagare tasse, mentre l’altro sì.
Ma come è possibile? Come dicevamo dipende da alcuni fattori. Va valutata cioè la situazione generale del soggetto che vende. Scopriamo allora quali sono questi fattori.
Quali sono i fattori per determinare le imposte sugli NFT?
Quali sono allora questi fattori che ci permettono di avere un quadro della situazione complessiva di chi vende e capire se e quali imposte si applicano sulla vendita di NFT?
- Abitualità
E’ importante innanzitutto capire se la compravendita di NFT è una attività abituale o occasionale. Cioè, ipotizziamo di aver comprato un NFT per rivenderlo ad un prezzo più alto. E’ stata una attività inusuale? O Lo facciamo tutti i giorni? Un conto è svegliarsi tutte le mattine, mettersi al PC e commerciare NFT e un conto è fare una singola operazione.
Va da sé che nell’ultimo caso stiamo parlando di una vera e propria attività professionale, inquadrabile come quella del mercante d’arte o del collezionista speculatore.
2. Prevalenza
Qual è l’entità degli importi dei guadagni da compra-vendita di NFT rispetto al mio reddito complessivo? Cioè i redditi che ottengo dalla vendita degli NFT sono prevalenti rispetto al mio reddito totale? Costituiscono la gran parte di esso? Oppure stiamo parlando di cifre irrisorie?
Anche questo è un aspetto da non sottovalutare, che potrebbe rendere le mie operazioni con gli NFT suscettibili di tassazione oppure no.
3. Intenzione
Un altro fattore importante è l‘intenzione con cui acquistiamo e vendiamo NFT. Facciamo un rapido esempio con un quadro. Un conto è se io compro un quadro d’autore per arredare la mia casa, lo piazzo sul caminetto e dopo 15 anni lo vendo per un qualsiasi motivo. In questo caso è chiaro che non c’è intento speculativo e l’eventuale plusvalenza non verrà tassata. Un conto è se io acquisto lo stesso quadro con il puro fine di fare speculazione.
Se io infatti acquisto degli oggetti, li uso per davvero e dopo un po’ di tempo li rivendo come “oggetti usati“, finché questa non diventa una attività abituale, io non dovrò mai pagare le imposte sulle plusvalenze.
Lo stesso discorso è applicabile al mondo degli NFT. Se io acquisto col fine speculativo è un conto, mentre è diverso se acquisto un NFT perché mi piace e magari in futuro lo vendo perché non mi piace più.
Le possibili posizioni fiscali
A complicare la faccenda c’è il fatto che per ognuno dei tre fattori non esiste un confine preciso che possa dividere ciò che è attività professionale da ciò che non lo è. Ad esempio, non c’è un numero esatto di operazioni oltre le quali l’attività di compravendita di NFT diventa “abituale“.
Allo stesso modo, non esiste una soglia sopra la quale i redditi dal commercio di NFT diventano “prevalenti” ed è ancora più difficile dimostrare “l’intenzione” di un acquisto/vendita.
Tutto questo spiega perché sia effettivamente difficile inquadrare fiscalmente il mondo degli NFT. Ogni situazione va inquadrata caso per caso, facendo riferimento alla situazione personale del soggetto che commercia questi token.
Volendo comunque dare una idea delle posizioni fiscali nelle quali potremmo trovarci dopo aver venduto uno o più NFT, possiamo elencare le seguenti:
Posizione fiscalmente non rilevante
Qualora fossimo in grado di dimostrare che abbiamo compiuto una/poche operazioni con gli NFT, senza abitualità, prevalenza e senza l’intenzione di speculare, le nostre plusvalenze non verrebbero tassate. Questa è la classica posizione del collezionista privato di opere d’arte, che arricchisce la sua collezione col mero scopo di godere egli stesso delle opere accumulate nel tempo.
Egli non esercita acquisto e vendita di opere d’arte/NFT con lo scopo di speculare, quindi eventuali plusvalenze non vengono tassate.
Il collezionista speculatore
Il collezionista speculatore è colui che acquista opere d’arte/NFT saltuariamente e le rivende per trarne un profitto. Quello del collezionismo non è il suo lavoro principale, quindi questi redditi non sono prevalenti sul totale.
In questo caso, non siamo di fronte ad una attività commerciale professionale, quindi non viene prodotto reddito d’impresa. Eventuali guadagni rientrano nella categoria dei “redditi diversi”, cioè i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente.
In questo caso sulle plusvalenze non si applica il 26%, ma si applica la tassazione marginale nel quadro RL della dichiarazione dei redditi. Non c’è obbligo di tenere contabilità di bilancio, di iscrizione alla camera di commercio ecc.
Il mercante d’arte
Il mercante d’arte è colui che acquista le opere d’arte con il fine di rivenderle per trarne un profitto. In questo caso c’è abitualità, prevalenza e la motivazione è chiara. Trattandosi di attività professionale, essa produce reddito d’impresa (art. 55 del TUIR). In più, il mercante d’arte deve pagare l’IVA (art. 4 del D.P.R. 633/1972).
Il mercante d’arte deve fare iscrizione alla camera di commercio, tenere contabilità di bilancio e rispettare tutti gli obblighi delle attività d’impresa.
In sintesi
In questo articolo abbiamo spiegato come vengono tassati gli NFT in Italia. Come avrai potuto intuire non è facile definire in tutti i casi una posizione fiscale in modo netto. Ecco perché vale la pena farsi seguire da un esperto, soprattutto se abbiamo realizzato grosse plusvalenze.
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