Se sei un investitore interessato a capire come funziona un accertamento fiscale per criptovalute non dichiarate, sei nel posto giusto! In questo articolo scopriremo esattamente che cosa può accadere se non dichiariamo le nostre cripto e qual è la prassi seguita dall’Agenzia delle Entrate.
Vedremo inoltre quali sono le sanzioni alle quali possiamo andare incontro. Se non vuoi rischiare di avere una plusvalenza sulle tue cripto compensata da una severa multa per evasione fiscale ti consiglio di continuare la lettura! In queste situazioni, i comportamenti trasparenti sono sempre la via migliore.
Indice dei Contenuti
Premessa: le criptovalute vanno sempre dichiarate
Come già spiegato in questo articolo il monitoraggio delle proprie criptovalute in Italia è sempre obbligatorio.
A stabilirlo è l’art. 4 della Legge n. 227/1990, secondo cui: “Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici (…) residenti in Italia che, nel periodo d’imposta, detengono investimenti all’estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi”.
Con la successiva circolare 72/2016, l’Agenzia delle entrate ribadisce che la criptovaluta è una valuta estera. Quindi nel rispetto della circolare 38/2013 sul monitoraggio fiscale, anche le valute virtuali ricadono nell’obbligo dichiarativo nel Quadro RW.
La situazione è talmente chiara e consolidata che la stessa Agenzia delle Entrate ha inoltre provveduto a specificare l’obbligo di inserire nel rigo RW1 nella colonna 3 il codice 14 («Altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali»), riferibile al possesso di valute virtuali. Le istruzioni specificano ulteriormente che in colonna 4 non si deve inserire il codice «Stato estero».
Accertamento fiscale per criptovalute non dichiarate
Che cosa succede se non dichiariamo correttamente le nostre cripto? Se l’Agenzia delle Entrate rileva un presunto comportamento sospetto, può procedere ad un accertamento. Come dice la parola stessa, l’idea è quella di “accertare” la natura di un determinato investimento o la provenienza del nostro denaro.
Ricorda che al FISCO non interessa cosa le persone fanno con i loro soldi, quello che conta è sempre la PROVENIENZA di quel denaro. Bisogna sempre essere in grado di rispondere a domande come:
- Da dove provengono i soldi?
- Dove sono stati inviati?
- Quale andamento hanno avuto?
- Sono stati monitorati gli investimenti?
- E’ stata pagata l’imposta sostitutiva?
Ma come fa l’Agenzia a ravvedere un comportamento sospetto?
La prima possibilità è quella di incrociare i dati in proprio possesso con le dichiarazioni dei redditi dei contribuenti. In particolare si confrontano i dati arrivati dalle agenzie fiscali degli stati esteri (UE ed extra UE aderenti al “CRS” – Common Reporting Standard) con quelli dichiarati.
Un’altra modalità più innovativa è quella di rilevare una serie di comportamenti e situazioni oggettive sui social network (ostentazione di auto di lusso, ville ecc) in apparente contraddizione con quanto dichiarato da quel contribuente. In questo caso l’Agenzia rileva che si sta seguendo uno stile di vita che teoricamente non ci si potrebbe permettere. Pertanto l’ente procede con un “accertamento presuntivo”.
Vediamo adesso più nel dettaglio quali sono le tipologie di accertamento.
Tipologie di accertamento fiscale
Gli accertamenti possono essere di varie forme, a seconda della gravità o meno del comportamento tenuto.
- Il più lieve è l’accertamento formale nel quale l’agenzia tramite una lettera di compliance invita il contribuente a fornire delucidazioni, memorie e documentazione provante un determinato investimento indicato nella dichiarazione dei redditi. In questo caso solitamente il contribuente ha presentato la dichiarazione dei redditi ed ha omesso o dichiarato in modo errato le proprie cripto.
- A questa lettera può seguire un invito al contraddittorio nel quale ci si confronta con l’amministrazione. In pratica l’agenzia invia una richiesta di invito a comparire per instaurare un procedimento di accertamento con adesione (ex art. 5-ter del D.Lgs. n. 218/97).Questa procedura si attiva quando il contribuente non ha presentato la dichiarazione dei redditi in Italia omettendo la dichiarazione dei redditi di fonte estera.
E’ chiaro che in caso di accertamento l’idea non è quella di punire immediatamente il contribuente, ma è quello di instaurare un dialogo. Nel caso in cui tutto sia correttamente indicato e giustificato il procedimento si conclude. Dove invece tali elementi manchino, l’amministrazione finanziaria procederà con l’emissione di un avviso di accertamento contenente i motivi per cui ritiene fondata una ulteriore pretesa tributaria.
Le sanzioni
Una volta scattato l’accertamento fiscale per criptovalute non dichiarate, se si scopre l’illecito, quali sono le sanzioni?
- L’art. 5 DL 167/90 prevede che la sanzione vada dal 3% al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati.
- Se però le attività sono o risultano detenute nei paesi black list le sanzioni risultano raddoppiate e quindi pari ad un valore compreso tra il 6% e il 30% del valore non dichiarato.
In sintesi
In questo articolo abbiamo scoperto come funziona un accertamento fiscale per criptovalute non dichiarate. Per evitare di ricevere sanzioni elevate e vanificare eventuali plusvalenze, è utile ricorrere alle classiche regole di buonsenso.
Bisogna sempre dichiarare i propri investimenti in cripto nell’apposito modulo RW ed affidarsi ad un fiscalista esperto che sappia aiutarci a districarci in questo nuovo mondo.
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